Babbo Natale risponde…
Caro Babbo Natale,
non ti scrivo per chiederti regali. Non voglio giocattoli, soldi o miracoli. Ti scrivo perché forse tu, che vieni da così lontano e vedi il mondo dall’alto, puoi spiegarmi quello che qui, a San Nicola da Crissa, nessuno sa o vuole spiegare.
Perché da sei anni siamo isolati senza essere circondati da acque o burroni? Perché un collegamento così importante per la nostra vita, il nostro lavoro e le nostre famiglie è stato cancellato, come se non esistessimo?
Non capisco, Babbo Natale, come sia possibile che in un mondo dove si annunciano miliardi di investimenti, dove si progettano ponti immensi e opere faraoniche, qui non si riesca a riaprire una strada franata.
Mi chiedo se siamo finiti fuori dalle mappe, se qualcuno ci ha cancellati per sbaglio, o se semplicemente non contiamo nulla per chi dovrebbe aiutarci.
Ma c’è una cosa che mi fa ancora più male: vedere che piano piano, dopo anni di promesse e menzogne, la mia gente ha smesso di sperare. Le persone sono stanche, deluse e rassegnate. Hanno smesso di protestare, di credere che qualcosa possa cambiare. È come se avessero accettato che vivere senza servizi essenziali, senza collegamenti, senza un futuro, sia normale.
Prima ancora del paese, a svuotarsi sono le persone che lo abitano. Chi è emigrato non torna più nemmeno d’estate. E quelli che restano vivono quasi sempre nell’attesa di qualcosa che sembra non arrivare mai.
Non ti chiedo di risolvere questo problema. So che non sei un politico né un amministratore. Ti chiedo solo di aiutarmi a capire.
Perché a San Nicola da Crissa si deve vivere così? Perché una strada che dovrebbe unire le persone è diventata un simbolo della nostra solitudine? Perché nessuno ascolta il grido di una comunità che sta lentamente morendo nell’indifferenza più totale?
Se hai una risposta, portamela tu. Noi qui, ormai, non sappiamo più a chi chiedere.
Con amarezza e speranza,
Toto
Cari cittadini di San Nicola da Crissa,
Ho ricevuto la vostra lettera, e vi rispondo con sincerità, perché le vostre parole pesano più di qualsiasi regalo che io possa mai consegnare. Provo però a dire la mia.
Cari amministratori, siete stati scelti per servire, non per promettere. Sei anni di chiusura della ex Statale 110 non sono un incidente né una fatalità, ma il risultato di decisioni rimandate, di burocrazia lenta e di scelte sbagliate. La politica non dovrebbe essere un gioco di promesse elettorali, ma un impegno quotidiano, fatto di azioni concrete, non di parole. Governare significa agire prima che i paesi si svuotino e le comunità muoiano. Non esistono scuse abbastanza forti per giustificare un’intera comunità lasciata sola così a lungo. Ricordate: non c’è peggior condanna per un amministratore che essere dimenticato insieme al suo paese.
Ai cittadini: vi vedo stanchi, disillusi, rassegnati. Ma attenzione: la rassegnazione è il regalo più pericoloso che possiate fare a chi vi ha abbandonato. Ogni volta che accettate il disagio come inevitabile, ogni volta che smettete di chiedere ciò che vi spetta, permettete che l’indifferenza continui. Non smettete di credere che le cose possano cambiare. Non aspettate miracoli o salvezze dall’alto: siete voi la voce che può rompere il silenzio. Pretendete, alzate la testa e lottate, insieme, perché nessuno ha mai cambiato il proprio destino restando in disparte.
Io porto regali, ma la dignità non posso impacchettarla. Quella è vostra: conquistatela con la forza della comunità e con il coraggio di non accettare l’ingiustizia come normalità.
Con speranza,
Babbo Natale